Ağustos 24, 2021

Galeotta fu la foto e chi la fece.

ile admin

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Galeotta fu la foto e chi la fece.
Mia cugina Matilda si era sposata, dopo un lungo fidanzamento, con Gino il suo ragazzo “storico”.
Erano insieme da oramai dodici anni, e in tutto questo tempo si erano dati un sacco da fare, scopando regolarmente un po’ dovunque: a casa di lei nella sua stanza, nella casa al mare della sorella maggiore Denise e, naturalmente, nella casa che lui stava allestendo in vista del loro imminente matrimonio.
Era stato davvero emozionante, per entrambi, godere delle gioie del sesso in quel cantiere che, di li a poco, sarebbe diventato il loro nido d’amore.
Come mai so queste cose? Bé, perché io e le mie due cuginette di primo grado abbiamo un rapporto tutto speciale, visto che abbiamo vissuto l’adolescenza quasi contemporaneamente. Badate, ho detto “quasi”, perché io sono più grande di loro di una manciata di anni.
Quando loro entrarono ufficialmente nell’età fertile e riproduttiva, io avevo già rotto il ghiaccio con il sesso scopandomi, con sommo piacere, la sorella maggiore della mia stupida ragazza di allora.
Io ero diciannovenne, mentre Denise aveva sedici anni e Matilda appena quindici, ma tutte e due con gli organi sessuali a posto e con gli ormoni in piena fibrillazione; così quando tornai dalla gita a Parigi che avevo fatto con quegli sfigati dei miei compagni di classe del liceo, le invitai nella casa di campagna dei miei genitori per vedere le diapositive che avevo s**ttato nella Ville Lumiere.
Solo che, oltre a far vedere loro le foto, pensai bene di organizzare un bel party a base di vodka lemon e tartine. Dopo averle portate per bene su di giri, dissi con tono enfatico: “E adesso vi faccio vedere il modello di carne della Tour Eiffel”, e detto ciò cacciai fuori il mio cazzo scappellato e in piena erezione.
Loro risero come matte, poi però si avventarono su quel bel bastone e presero dapprima a toccarlo e poi, su mio invito, a baciarlo e succhiarlo, fino a farmi sborrare copiosamente. Vedere per la prima volta nella loro vita tutto quello sperma le divertì molto, mentre io, per gratitudine nei loro confronti, leccai ad entrambe la fichetta.
Quelle due troiette in erba delle mie cugine continuavano a dire “No … no, basta, smettila … non possiamo farlo, siamo cugini!”. Tuttavia le porcelle ci stavano eccome! godevano a gambe spalancate come delle pazze e, se non fosse stato per il mio autocontrollo e per quel barlume di senso di responsabilità che mi era rimasto, si sarebbero fatte tranquillamente sverginare entrambe dal sottoscritto.
Quella sera andò così, ma non mancarono in seguito altre occasioni di incontro a tre. Durante il capodanno successivo, ad esempio, ci ritrovammo di nuovo a festeggiare nella stessa casa di campagna in compagnia di Rossano, un mio caro amico di infanzia di cui vi ho già parlato.
In quella occasione furono scopate entrambe: Rossano ebbe l’onore di sverginare la mia amata cuginetta Matilda, mentre io mi scopai per bene quella zoccola di Denise, la quale – peraltro – era già stata precedentemente deflorata da un suo compagno di classe.
Insomma le cose andarono avanti così, tra una scopata, un pompino e una sborrata, per un bel po’ di tempo. Sta di fatto che ogni occasione e ricorrenza era buona per festeggiare alla nostra maniera, con estrema soddisfazione di tutti quanti.
Le due sorelline non erano dotate di gran bellezza, ma a questo loro handicap supplivano con una buona dose di troiaggine che le rendeva alquanto appetibili. Una estate, molto prima che io mi fidanzassi con Giada, prendemmo in affitto tutti e tre una casetta vicino ad una piccola cala che, al tempo, era pochissimo frequentata dai turisti.
Nel corso di quella vacanza Denise conobbe un ragazzo tedesco e così, per buona parte dei giorni a venire, si diede pressoché bandita in quanto impegnata a farsi scopare in ogni suo buco disponibile dal suo nuovo boy friends.
Così io e Matilda avemmo modo di parlare a lungo e di conoscerci carnalmente più a “fondo”; io, infatti, di solito dirottavo le mie attenzioni prevalentemente sulla sorella maggiore, quasi preoccupato di arrecare danno a lei che, nel frattempo, era arrivata alla soglia della maggiore età.
Una mattina eravamo tutti e due sulla spiaggia e intorno a noi non c’era praticamente anima viva. Denise quella notte non era nemmeno tornata, in quanto si era fermata a casa del suo giovane amante per farsi fottere per bene; pertanto io e Matilda ci avevamo dato dentro alla grande fino a tardi.
Avevamo entrambi delle belle occhiaie date dalla mancanza di sonno, così avevamo indossato un paio di occhiali scuri. Ad un certo punto Matilda si levò il reggiseno e restò in topless per migliorare l’abbronzatura; io, alla vista delle sue tette, infilai la mia mano nelle sue mutandine, andando ad accarezzare la morbida peluria del suo pube.
“Ma sei davvero insaziabile, cugino porcellino che non sei altro!”, disse lei ridendo.
“Perché allora non mi sazi ancora, cara cugina maialina?”, replicai con fare sornione.
Detto fatto, si mise indosso una leggera maglietta, raccogliemmo le nostre cose e tornammo a casa: li mi trombai nuovamente Matilda per il resto della mattina e, alla fine, le allagai il canale vaginale di sperma.
Rimanemmo stesi sul letto, e io mi dedicai ad esplorare oziosamente la sua fica con le dita, divertendomi a rigirare la sborra che le avevo iniettato dentro poco prima. In quella occasione Matilda mi confidò che lei non disdegnava affatto i rapporti lesbici, tant’è che con sua sorella, quando mancavano maschietti disponibili, ci davano dentro di lingua allo scopo di soddisfarsi vicendevolmente.
Così anche io mi “sbottonai” un po’ e confessai che anche io apprezzavo molto i rapporti omosessuali e bisessuali e che all’Università, oltre ad aver sperimentato combinazioni sessuali di vario tipo e natura, avevo intrapreso da poco tempo una relazione stabile con Giulio, il mio coinquilino. Lei non ne fu affatto meravigliata, anzi, commentò sarcastica: “Deve essere un vizietto di famiglia”.
Anche quell’estate purtroppo finì e gradualmente i nostri incontri si diradarono sempre di più, fino a cessare definitivamente qualche tempo dopo; ci vedevamo sempre in occasione di feste e cerimonie – per carità – ma, come capite bene, non era certo la stessa cosa.
Come quasi sempre accade ognuno di noi prese strade diverse facendo le proprie esperienze: Denise ebbe varie relazioni con diversi uomini, tanto che in famiglia era oramai nota con il nomignolo di “campo scuola”, visto che passava con grande disinvoltura da un partner all’altro. Matilda invece, dopo qualche avventura, conobbe Gino e con lui instaurò una relazione stabile durata anni.
E io … bè, per ciò che mi riguarda sapete oramai cosa mi successe e le peripezie che mi accaddero.
Fatto sta che, come avevo detto all’inizio, finalmente Matilda e Gino un bel giorno decisero di convolare a giuste nozze e di metter su famiglia; così organizzarono un matrimonio da favola in una location veramente straordinaria.
A vederli così affiatati, sembrava che niente potesse mettere in discussione la loro unione: stessi gusti sportivi (entrambi juventini), stessi gusti in fatto di tv e musica, stessi gusti alimentari, stesso ambiente di lavoro alla locale Università, lui di poche parole e lei estremamente loquace. Insomma il classico “incastro perfetto”.
E invece, di li a poco, accadde qualcosa che buttò a gambe all’aria la loro unione e che li portò a separarsi irrimediabilmente, con tanto di successivo divorzio, avvocati e carte bollate.
La notizia della separazione tra i due arrivò come un fulmine a ciel sereno; sapemmo della cosa solo qualche settimana dopo che questa era avvenuta e i miei zii innalzarono una vera e propria barriera di omertà a protezione della loro figlia, quasi che le ragioni che avevano condotto a quella rottura insanabile fossero inconfessabili.
Io, personalmente, non sapevo darmi ragione di quanto avvenuto, così tentai di stabilire un contatto con l’ormai ex coniuge.
Quando provai a toccare l’argomento separazione, lui si irrigidì e diventò paonazzo. “Chiedi direttamente tu a mia moglie cosa è successo”, mi disse, “Credo che tra voi due ci sia una certa confidenza e intimità, visto che tu a suo tempo te la sei ripetutamente scopata insieme a quella baldracca della sorella!”.
A quelle parole non osai aggiungere altro e, così, me ne tornai a casa con le pive nel sacco. Raccontai a Giada di aver fatto un buco nell’acqua, e lei mi rispose: “Ben ti sta, così impari a farti gli affari tuoi”.
“Tu dici?”, replicai secco io, “Sai che ti dico? Che seguirò il suo consiglio, andando a chiedere come stanno le cose alla diretta interessata”.
“E cosa ti fa pensare che lei te lo dirà?”.
“Me lo dirà perché tra me e le mie cugine, in passato, c’è stata una certa intimità”.
“Cosa intendi dire?”, chiese incuriosita lei.
“Semplice, che me le sono scopate entrambe più volte, da solo o insieme ad altri!”.
Lei rimase basita. Poi mi disse, andando via: “Certo, in fondo lo dice anche il proverbio che non c’è cosa più divina che trombarsi la cugina. Ah, a proposito, vaffanculo: non ti bastavano tutte le porcherie che hai combinato all’Università con il tuo amichetto Giulio, e ora vengo a sapere che ti sei scopato senza pudore pure loro!”.
Non gli avevo detto niente riguardo il nostro rapporto così particolare, che aveva rasentato l’i****to, quindi mi meritavo ampiamente quel vaffanculo; tuttavia quelle erano cose che appartenevano al passato e a me interessava il presente.
Mentre mi recavo da Matilda in cerca di risposte, non potevo fare a meno di riflettere sul fatto che certe rotture tra coniugi, così repentine ed irrimediabili, non potevano che essere riconducibili ad una unica ragione e cioè alle classiche questioni di corna!
Tra l’altro non era stata lei la prima ad andarsene di casa, bensì era stato proprio il marito a buttarla fuori senza troppi complimenti e senza nemmeno darle il tempo di raccogliere le proprie carabattole.
Matilda era tornata nella sua ex casa solo qualche giorno dopo e, come sorpresa, aveva trovato che il suo ex aveva già provveduto a cambiare la serratura del portone; quindi aveva dovuto umiliarsi ulteriormente e chiedere proprio a lui il permesso di poter portare via le proprie cose. “Sei fortunata che ancora non ho trovato il tempo di buttare tutto il tuo ciarpame in strada!”, le disse lui con voce gelida e dura. “A dire il vero il solo pensiero di toccare le tue cose o i tuoi vestiti mi da la nausea”.
Questo era il segno evidente che la colpa di quanto successo era unicamente riconducibile a lei; già, ma cosa poteva aver fatto di così grave e irreparabile? In fondo in molte coppie si sperimenta il tradimento di uno dei due partner, ma non per questo si sfascia tutto a soli tre anni dal matrimonio.
Quando arrivai a casa dei miei zii, respirai immediatamente un clima plumbeo e quasi di lutto.
“Ciao Zia Cristina, c’è Matilda in casa?”, domandai senza lasciar trasparire le mie intenzioni.
“Si”, rispose lei, “E’ in giardino ad innaffiare le piante. Visto che sei qui, cerca di parlarle e di consolarla un poco, in modo che si tiri un po’ su di morale; sai facciamo fatica anche a farla mangiare”.
Entrai nel giardino retrostante la casa e la vidi con un annaffiatoio in mano, intenta ad innaffiare le piante di geranio.
“Ciao, come và?”, gli chiesi abbracciandola forte.
“Non bene cuginetto mio. Mi sento come se il mondo mi fosse crollato addosso, oramai non riesco più a dormire senza pensare alle mie disgrazie”.
Aveva gli occhi pesti e il morale in cantina, così la convinsi ad uscire con me per svagarsi un po’ e per mangiare insieme un gelato.
“Ma sì”, fece lei, posando l’annaffiatoio, “Tanto se resto qui continuo solo a rimuginare inutilmente sul naufragio del mio matrimonio”.
Uscimmo in macchina e ci fermammo in un bar in riva alla spiaggia; era la fine di maggio e ancora di bagnanti e mondanità non se parlava neppure. Ci sedemmo ad un tavolino e incominciammo a mangiare le nostre coppe di gelato.
“Ricordi quell’agosto che abbiamo trascorso tutti e tre insieme?”, gli domandai, “Eravamo tutti più giovani, disinibiti e spensierati”.
“E come potrei dimenticarlo? Sapessi quante volte ci penso; mi mancate tutti sai? Mi manchi tu, mi manca la complicità di mia sorella e mi manca sopratutto il sesso libero da vincoli e costrizioni … ma ormai è inutile pensarci”.
“Senti … so che non ne vuoi parlare, ma a volte può far bene confidarsi con qualcuno. Cosa è successo tra te e tuo marito?”.
Lei mi fissò, poi abbassò lo sguardo e disse: “Perché no, in fondo che senso ha nascondere tutto all’infinito?”.
E così incominciò a raccontare la storia, così come si era svolta e che io riassumerò per sommi capi a voi.
Premetto che Matilda e Gino si erano conosciuti all’Università della città in cui vivevano. Successivamente al conseguimento della Laurea, vennero assunti presso il medesimo Istituto, e più precisamente lui alla segreteria di ateneo e lei presso la biblioteca di facoltà.
Li si erano anche creati il loro giro di amicizie e, fra queste, vi era una donna che anche io avevo avuto occasione di conoscere piuttosto bene. Federica era coetanea di Matilda e si era laureata nel suo medesimo corso; anzi le due ragazze avevano preparato molti esami insieme, quindi avevano avuto modo di frequentarsi lungamente.
Anche lei faceva parte del personale amministrativo dell’Università, sia pure con mansioni diverse da quelle di Matilda e di Gino; fatto è che i tre si vedevano quotidianamente.
Federica era francamente brutta (almeno per il metro maschile): bassa, larga, occhialuta, con i capelli irrimediabilmente disordinati, ma sopratutto era perennemente corrucciata e incazzata con la parte maschile del genere umano. Da che mi ricordo non sono mai riuscito a scambiare più di quattro parole con lei.
“Ma come fai a starle vicino?”, domandavo ogni volta a Matilda. “Bé, che tu ci creda o no, ha i suoi lati positivi”, mi rispondeva puntualmente lei.
La Fede aveva anche l’hobby della fotografia che condivideva con la sua amica del cuore, ovvero con mia cugina Matilda; così, spesso e volentieri, le due donzelle sparivano nelle campagne circostanti la città, alla ricerca di soggetti interessanti da fotografare.
I loro safari fotografici si svolgevano solitamente il sabato o la domenica, sia che fosse estate con il caldo afoso, sia che fosse inverno con il vento e il gelo.
Gino, stranamente, non amava questo genere di svago: lui era decisamente più pantofolaio e prediligeva passare il week-end davanti alla tv o leggendo i giornali sportivi, piuttosto che imbarcarsi in interminabili scarpinate nel bel mezzo del nulla.
Un giorno, però, ebbe la pessima idea di prendere in mano la macchina fotografica della moglie. Mosso dalla curiosità di vedere gli ultimi s**tti eseguiti e senza attendere che lei li trasferisse nella cartella del computer, accese il display della fotocamera e premette il tasto dell’archivio della memoria interna.
La prima foto che vide lo lasciò di sasso, e quasi gli cadde la macchina digitale dalle mani per la sorpresa. Davanti a lui si parò l’immagine della moglie a gambe spalancate che si sparava un ditalino davanti all’obiettivo.
Pensò ingenuamente che Matilda avesse voluto fargli uno scherzo, magari per eccitarlo un po’, così incominciò a scorrere la galleria delle immagini.
Quello che vide dopo lo fece trasalire: una serie di foto, alcune realizzate con l’autos**tto ed altre eseguite in soggettiva, mostravano la moglie e Federica impegnate in una vera e propria performance lesbica.
A volte le foto ritraevano Matilda, mentre leccava di gusto la fica di quello scorfano di Federica e s**ttate proprio da quest’ultima, mentre in altre si presentava, ai suoi occhi increduli, la situazione perfettamente opposta.
Alcune immagini, poi, erano degli autos**tto molto ben eseguiti, che riprendevano i corpi di entrambe. In esse si potevano vedere le due donne nell’atto di compiere acrobazie notevoli come ad esempio la forbice lesbica, nella quale si strusciavano vicendevolmente le fiche, oppure in altre le si potevano ammirare mentre erano prese a lesbicare in posizione 69, e così via.
Lui era sconvolto e continuava a scorrere quella serie di foto bollenti, alternate ad altre che avevano per soggetto la natura, gli insetti, i monumenti ecc…
Cercò di capire, con le lacrime agli occhi e le mani tremanti dove le foto in questione fossero state s**ttate e in alcune di esse riconobbe subito il salotto della casa di Federica. Quelle due baldracche, pensò, usavano la storiella del safari fotografico come alibi per coprire la loro relazione lesbica, che andava avanti sotto il suo naso da chissà quanto tempo.
Al solo pensiero che quello sgorbio di Federica fosse stato preferito a lui, gli sembrò di impazzire di rabbia e di dolore. In fondo aveva donato tutto se stesso a Matilda, accettando senza riserve tutti i suoi difetti ed il suo carattere autoritario che, spesso e volentieri, lo sovrastava relegandolo al mero ruolo di comparsa.
Il suo primo impulso fu quello di fracassare la macchina fotografica sulla testa della moglie, quando fosse rientrata a casa, poi però la ragione ebbe la meglio sull’istinto. Così scaricò la memoria dalla macchina e la riversò sul suo computer portatile, quale incontrovertibile prova dell’adulterio, che poi nascose in un luogo sicuro.
Rimise tutto quanto al suo posto ed attese pazientemente l’arrivo del coniuge. Quando Matilda entrò in casa trovò ad attenderla il marito, con la fotocamera digitale in mano ed il display che mostrava lei e Federica nude e avvinghiate sul letto, mentre si baciavano appassionatamente.
Messa davanti all’evidenza del tradimento provò a biascicare qualcosa, circa il fatto che non lo avrebbe fatto più, che era stato un errore e che chiedeva il suo perdono, ma lui era sordo alle sue richieste.
“Forse se tu fossi stata sincera con me fin dall’inizio, avrei anche potuto accettare questa situazione, ma ora è tardi per mendicare il mio perdono!”, disse lui, chiudendo ad ogni possibile dialogo. “Ora, per favore, esci fuori da questa casa!”.
“Ma dove dovrei andare?”, chiese la moglie con le lacrime agli occhi.
“Potresti andare a vivere dalla tua amante; vedrai che lei ti potrà dare di certo il genere di conforto che cerchi”.
Lei non trovò nessuna argomentazione valida con la quale replicare, ed uscì mestamente di casa, umiliata e con la morte nel cuore. Si girò e vide lui che chiudeva il portone blindato a doppia mandata.
Il resto della storia è noto.
Matilda, in seguito, troncò definitivamente la sua relazione lesbica con Federica e quando finalmente trovò il coraggio di raccontare le vere ragioni della separazione a sua madre e a suo padre, successe un finimondo.
In tutti questi anni ho maturato la convinzione che ad essere poco sinceri con il partner non ci si guadagna nulla: molto meglio mettere le cose in chiaro fin dall’inizio piuttosto che dover poi raccattare i cocci del tuo matrimonio.
Dopo avermi raccontato tutto, lei scoppiò in un pianto liberatorio. L’unica cosa che fui in grado di fare, fu quella di prenderla tra le braccia per farla sentire al sicuro.
Ci stringemmo forte l’un l’altro, in modo da sentire il reciproco e rassicurante contatto tra i nostri corpi, così come facevamo in riva al mare, durante quella spensierata estate della nostra perduta adolescenza.